Ossian
La notte
ARGOMENTO
In più d’un luogo di queste poesie, e segnatamente nel poemetto di Croma, al v. 191, si fa menzione di canti fatti all’improvviso. Furono questi tenuti in grandissimo pregio dai Bardi dei tempi susseguenti. Ciò che ci riman di quel genere mostra piuttosto il buon orecchio, che il genio poetico degli autori. Il traduttore inglese non ha incontrato che una sola di queste composizioni che meriti d’esser conservata, ed è per l’appunto la presente. Ella è di mille anni più recente del secolo di Ossian, ma sembra che gli autori si sieno studiati d’imitar lo stile di questo poeta, e di adottarne molte espressioni. Eccone il soggetto. Cinque bardi, o cantori passando la notte in casa d’un signore, o capo di tribù, il quale era anch’esso poeta uscirono a far le loro osservazioni sopra la notte, e ciascheduno ritornò con una improvvisa descrizione della medesima. La notte descritta è nel mese d’ottobre, e nel nord della Scozia ell’ha veramente tutta quella varietà, che i cantori le attribuiscono.
I° CANTORE
Trista è la notte, tenebrìa s’aduna,
Tingesi il cielo di color di morte:
Qui non si vede nè stella, nè luna,
Che metta il capo fuor dalle sue porte.
Torbido è ‘l lago, e minaccia fortuna,
Odo il vento nel bosco a ruggir forte.
Giù dalla balza va scorrendo il rio
Con roco lamentevol mormorìo.
Su quell’alber colà, sopra quel tufo,
Che copre quella pietra sepolcrale,
Il lungo-urlante ed inamabil gufo
L’aer funesta col canto ferale.
Ve’ ve’:
Fosca forma la piaggia adombra:
Quella è un’ombra:
Striscia, sibila, vola via.
Per questa via
Tosto passar dovrà persona morta:
Quella meteora de’ suoi passi è scorta.
Il can dalla capanna ulula e freme,
Il cervo geme – sul musco del monte,
L’arborea fronte – il vento gli percote;
Spesso ei si scuote – e si ricorca spesso.
Entro d’un fesso – il cavriol s’acquatta,
Tra l’ale appiatta – il francolin la testa.
Teme tempesta – ogni uccello, ogni belva;
Ciascun s’inselva – e sbucar non ardisce;
Solo stridisce – entro una nube ascoso
Gufo odioso;
E la volpe colà da quella pianta
Brulla di fronde
Con orrid’urli a’ suoi strilli risponde.
Palpitante, ansante, tremante
Il peregrin
Va per sterpi, per bronchi, per spine,
Per rovine,
Chè ha smarrito il suo cammin.
Palude di qua,
Dirupi di là,
Teme i sassi, teme le grotte,
Teme l’ombre della notte;
Lungo il ruscello incespicando,
Brancolando
Ei strascina l’incerto suo piè.
Fiaccasi or questa or quella pianta,
Il sasso rotola, il ramo si schianta
L’aride lappole strascica il vento.
Ecco un’ombra, la veggo, la sento;
Trema di tutto, nè so di che.
Notte pregna di nembi e di venti,
Notte gravida d’urli e spaventi!
L’ombre mi volano a fronte e a tergo:
Aprimi, amico, il tuo notturno albergo.
II° CANTORE.
Sbuffa ‘l vento, la pioggia precipitasi,
Atri spirti già strillano ed ululano,
Svelti i boschi dall’alto si rotolano,
Le fenestre pei colpi si stritolano.
Rugghia il fiume che torbido ingrossa:
Vuol varcarlo e non ha possa
L’affannato viator.
Udiste quello strido lamentevole?
Egli è travolto, ei muor.
La ventosa orrenda procella
Schianta i boschi, i sassi sfracella:
Già l’acqua straripa,
Si sfascia la ripa,
Tutto in un fascio la capra belante,
La vacca mugghiante,
La mansueta e la vorace fera
Porta la rapidissima bufera.
Nella capanna il cacciator si desta,
Solleva la testa,
Stordito, avviva il foco spento: intorno
Fumanti
Stillanti
Stangli i suoi veltri: egli di scope i spessi
Fessi riempie, e con terrore ascolta
Due gonfi rivi minacciar vicina
Alla capanna sua strage e rovina.
Là sul fianco di ripida rupe
Sta tremante l’errante pastor.
Una pianta sul capo risuona,
E l’orecchio gli assorda e rintrona
Il torrente col roco fragor.
Egli attende la Luna,
La Luna che risorga,
E alla capanna co’ suoi rai lo scorga.
In tal notte atra e funesta
Sopra il turbo e la tempesta,
Sopra neri nugoloni
Vanno l’ombre a cavalcioni.
Pur è giocondo
Il lor canto sul vento:
Che d’altro mondo
Vien quel novo concento.
Ma già cessa la pioggia: odi che soffia
L’asciutto vento, l’onde
Si diguazzano ancora, ancor le porte
Sbattono: a mille a mille
Cadon gelate stille
Da quel tetto e da questo. Oh! oh! pur veggo
Stellato il cielo: ah che di nuovo intorno
Si raccoglie la pioggia; ah che di nuovo
L’occidente s’abbuja.
Tetra e’ la notte e buja
L’aer di nembi è pregno:
Ricevetemi, amici, a voi ne vegno.
III° CANTORE
Pur il vento imperversa, e pur ei strepita
Tra l’erbe della rupe: abeti svolvonsi
Dalle radici, e la capanna schiantasi.
Volan per l’aria le spezzate nuvole,
Le rosse stelle ad or ad or traspaiono,
Nunzia di morte l’orrida meteora
Fende co’ raggi l’addensate tenebre.
Ecco posa sul monte: io veggo l’ispida
Vetta del giogo dirupato, e l’arida
Felce ravviso e l’atterrata quercia.
Ma chi è quel colà sotto quell’albero,
Prosteso in riva al lago
Colle vesti di morte?
L’onda si sbatte forte
Sulla scogliosa ripa, è d’acqua carca
La piccioletta barca:
Vanno e vengono i remi
Trasportati dall’onda
Ch’erra di scoglio in scoglio: oh! su quel sasso
Non siede una donzella?
Che fia? l’onda rotante
Rimira,
Sospira,
Misero l’amor suo! misero amante!
Ei di venir promise,
Ella adocchiò la barca,
Mentre il lago era chiaro: oh me dolente!
Oimè questo è ‘l suo legno!
Oimè questi i suoi remi!
Questi sul vento i suoi sospiri estremi!
Ma già s’appresta
Nuova tempesta,
Neve in ciocca
Fiocca, fiocca,
Biancheggiano dei monti e cime e fianchi;
Sono i venti già stanchi,
Ma punge l’aria, ed è rigido il cielo:
Accoglietemi amici, io son di gelo.
IV° CANTORE
Vedi notte, serena, lucente,
Pura, azzurra, stellata, ridente;
I venti fuggiro,
Le nubi svaniro,
Si fan gli arboscelli
Più verdi e più belli;
Gorgogliano i rivi
Più freschi, e più vivi;
Scintilla alla Luna
La tersa laguna.
Vedi notte, serena, lucente,
Pura, azzurra, stellata, ridente.
Veggo le piante rovesciate, veggo
I covoni che il vento aggira e scioglie,
Ed il cultor che intento
Si curva e li raccoglie.
Chi vien dalle porte(489)
Oscure di morte,
Con piè pellegrin?
Chi vien così leve
Con vesta di neve,
Con candide braccia,
Vermiglia la faccia,
Brunetta il bel crin?
Questa è la figlia del signor sì bella,
Che pocanzi cadéo nel suo bel fiore.
Deh t’accosta, t’accosta, o verginella,
Lasciati vagheggiar, viso d’amore.
Ma già si move il vento, e la dilegua;
E vano è che cogli occhi altri la segua.
I venticelli spingono
Per la valle ristretta
La vaga nuvoletta:
Ella poggiando va;
Finchè ricopre il cielo
D’un candidetto velo,
Che più leggiadro il fa.
Vedi notte, serena, lucente,
Pura, azzurra, stellata, ridente.
Bella, notte, più gaja del giorno:
Addio, statevi amici, io non ritorno.
V° CANTORE
La notte è cheta, ma spira spavento,
La Luna è mezzo tra le nubi ascosa:
Movesi il raggio pallido e va lento,
S’ode da lungi l’onda romorosa.
Mezza notte varcò, che ‘l gallo io sento:
La buona moglie s’alza frettolosa,
E brancolando pel bujo s’apprende
Alla parete, e ‘l suo foco raccende.
Il cacciator che già crede il mattino,
Chiama i suoi fidi cani, e più non bada;
Poggia sul colle, e fischia per cammino:
Colpo di vento la nube dirada;
Ei lo stellato aratro a sè vicino
Vede che fende la cerulea strada:
Oh, dice, egli è per tempo, ancora annotta
E s’addormenta sull’erbosa grotta.
Odi, odi!
Corre pel bosco il turbine,
E nella valle mormora
Un suon lugubre e stridulo;
Quest’è la formidabile
Armata degli spiriti,
Che tornano dall’aria.
Dietro il monte si cela la Luna
Mezzo pallida e mezzo bruna:
Scappa un raggio, e luccica ancora,
E un po’ po’ le vette colora:
Lunga dagli alberi scende l’ombra,
Tutto abbuja, tutto s’adombra:
Tutto è orrido, e pien di morte:
Amico, ah non tardar, schiudi le porte.
IL SIGNORE
Sia pur tetra la notte, ululi e strida
Per pioggia o per procella,
Senza luna, nè stella;
Volino l’ombre, e ‘l peregrin ne tremi;
Imperversino i venti,
Rovinino i torrenti, errino intorno
Verdi-alate meteore; oppur la notte
Esca dalle sue grotte
Coronata di stelle, e senza velo
Rida limpido il cielo,
È lo stesso per me: l’ombra sen fugge
Dinanzi al vivo mattutino raggio,
Quando sgorga dal monte,
E fuor dalle sue nubi
Riede giojoso il giovinetto giorno:
Sol l’uom, come passò, non fa ritorno.
Ove son ora, o vati,
I duci antichi? ove i famosi regi?
Già della gloria lor passaro i lampi.
Sconosciuti, obliati
Giaccion coi nomi lor, coi fatti egregi,
E muti son delle lor pugne i campi.
Rado avvien ch’orma stampi
Il cacciator sulle muscose tombe,
Mal noti avanzi dagli eccelsi eroi.
Sì passerem pur noi; profondo oblio
C’involverà: cadrà prostesa alfine
Questa magion superba,
E i figli nostri tra l’arena e l’erba
Più non ravviseran le sue rovine.
E domandando andranno
A quei d’etade e di saper più gravi:
Dove sorgean le mura alte degli avi?
Sciolgansi i cantici,
L’arpa ritocchisi,
Le conche girino;
Alto sospendansi
Ben cento fiaccole;
Donzelle e giovani
La danza intreccino
Al lieto suon.
Cantore accostisi,
Il qual raccontimi
Le imprese celebri
Dei re magnanimi,
Dei duci nobili,
Che più non son.
Così passi la notte,
Finchè il mattin le nostre sale irraggi.
Allor sien pronti i destri
Giovani della caccia, e i cani, e gli archi.
Noi salirem sul colle, e per le selve
Andrem col corno a risvegliar le belve.
Nella figura: Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), Il sogno di Ossian, 1813, olio su tela, Museo Ingres a Montauban.