Fra i molti termini che il linguaggio politico odierno ha adottato dal mondo antico, certamente il sostantivo “democrazia” è quello più usato. Tutti, in apparenza, ritengono di conoscerne il significato; se però si procede in un’analisi più accurata dei vari linguaggi, ci si accorge che, in realtà, tale parola è soggetta ad interpretazioni diverse a seconda del contesto in cui viene usata. Non sfugge neppure talvolta l’intento, in chi la usa, di colpire la sensibilità comune, dal momento che presso larghi strati dell’opinione pubblica il concetto di democrazia evoca valori positivi.
La conseguenza che deriva dall’uso improprio o dall’abuso che viene fatto della parola ‘democrazia’ e, in modo ancor più evidente, dell’aggettivo ‘democratico’ è lo smarrimento del contenuto originario dei termini stessi.
Ci si chiede allora cosa sia rimasto nel concetto odierno dell’ideale politico di democrazia, che ebbe origine e trovò concreta realizzazione in Grecia nel V sec. a.C.
L’indagine si presenta abbastanza vasta a chi voglia approfondire l’argomento, riguardando essa non solo la storia di un popolo, ma anche l’evoluzione del pensiero filosofico e politico antico. A partire dal VI secolo fino all’età ellenistica ampio è il numero dei testi che offrono indicazioni più o meno interessanti sul tema. Si rende pertanto necessaria una scelta che, da una parte, consenta di esaminare quale fu il contenuto originario della parola ‘democrazia’, dall’altra, permetta di prendere coscienza delle manipolazioni cui essa andò soggetta fin dall’antichità per scopi evidentemente propagandistici 1.
Un primo testo di un certo interesse potrebbe essere il famoso passo del terzo libro delle Storie di Erodoto sulla forma migliore di governo.
Nei capitoli 80-83 viene riferito il dibattito dei capi persiani circa la forma di governo da adottare dopo che si sono liberati dal dominio dell’usurpatore Mago. La vicenda è ambientata alla corte di Dario nell’anno 522 a.C., ma il brano esprime un modo di pensare totalmente greco e presenta un’impostazione dialogica alla maniera dei filosofi greci del V secolo2. In esso non appare mai la parola δημοκρατία; viene però definito, per bocca di Otane, il governo democratico nei suoi aspetti essenziali: esso è governo della maggioranza (πλῆθος δὲ ἄρχον) ed ha il nome di tutti più bello, ἰσονομίη. In tale governo i magistrati sono eletti per sorteggio ed il loro operato è soggetto a rendiconti; inoltre ogni decisiοne è comune e la sovranità appartiene al popolo, infatti “nella maggioranza c’è il tutto” (ἐν γὰρ τῷ πολλῷ ἔνι τὰ πάντα)3.
Esaminando, anche altrove, la terminologia erodotea, si riscontrano dei sinonimi di δημοκρατία che non indicano il concetto nella sua globalità, bensì ne definiscono uno dei caratteri essenziali. I più frequenti sono
– ἰσονομία, che indica l’uguaglianza assoluta davanti alla legge;
– ἰσηγορία, cioè libertà di parola e quindi ancora uguaglianza di diritti;
– παρρησία 4, con eguale accezione.
È interessante anche esaminare, a proposito di questo brano, l’obiezione che Megabizo, un altro capo persiano, rivolge ad Otane e agli altri per indurli a non accettare la democrazia. Egli sostiene che non si può affidare il potere ad una massa inutile e violenta, che non sa ciò che fa 5.
L’affermazione mostra, con ogni probabilità, i temi che dovevano essere cari agli antidemocratici e sui quali dovette aprirsi nel corso del V secolo un acceso dibattito costituzionale, dal quale non rimasero esclusi poeti e filosofi.
Se ne ritrova una eco in un altro testo del V sec., in molti aspetti simile a quello di Erodoto. È il passo delle Supplici di Euripide (anno 422/1) nel quale viene riferito il dialogo fra Teseo e l’araldo tebano 6. Anche qui vengono ribaditi i cardini del governo democratico: sovranità popolare, successione annuale nelle cariche magistratuali, uguaglianza fra ricchi e poveri. E ancora viene sollevata l’obiezione già vista in Erodoto: come può governare bene il popolo che “non sa nemmeno ragionare rettamente?”
Una trattazione ancor più dettagliata e sicuramente molto significativa per definire l’ideale classico di democrazia è quella che ci viene offerta da Tucidide nell’Orazione per i morti del primo anno di guerra, discorso che lo storico fa pronunciare a Pericle nell’inverno 431/30, ma che scrive probabilmente dopo il 404.
Pericle, parlando della democrazia, afferma che essa è un’esperienza di governo originale e solo ateniese, basata non sui pochi (ἐς ὀλίγους), ma sulla maggioranza (ἐς πλείονας). In essa l’uguaglianza (τὸ ἴσον) è a tutti garantita secondo le leggi (κατὰ τοὺς νόμους), il prestigio e gli onori non sono assegnati in base all’origine o all’appartenenza ad una fazione politica, bensì in base al valore personale (ἀπ᾿ἀρετῆς); inoltre è permesso a tutti, anche ai poveri, di contribuire al bene della città7. Un dato ulteriore figura nel discorso tucidideo: l’isonomia, fondamento della democrazia, supera anche la barriera delle divisioni di censo e di nascita; è un’isonomia che valorizza il merito personale contro quanti sostengono la superiorità della ricchezza e dell’origine.
La stessa nota polemica emerge in un altro discorso tucidideo, quello di Atenagora ai Siracusani, nel quale ancora una volta ritroviamo l’idea di maggioranza: “Mi si dirà che la democrazia non è né saggia né equanime e che quelli che hanno il denaro sono anche i migliori per meglio esercitare il potere. Ma io dico in primo luogo che δῆμος significa un tutto (ξύμπαν), oligarchia una parte sola; in secondo luοgo che, se i ricchi sono i migliori per controllare le finanze, sono i saggi che danno i consigli migliori, e chi può giudicare nel modo migliore, dopo aver ascoltato il dibattito, è la maggioranza (τοὺς πολλούς)”8
Un’ulteriοre conferma del contenuto originario del concetto di democrazia viene offerto paradossalmente da un testo apertamente antidemocratico. Si tratta del libello politico di datazione incerta Athenaíōn politeía, attribuito a Senofonte. L’autore, di tendenza apertamente oligarchica, volendo criticare il governo democratico ateniese, analizza e passa in rassegna gli aspetti più rilevanti della democrazia, dalla partecipazione popolare alla vita politica al rapporto con gli alleati, all’organizzazione della vita culturale e sociale dei cittadini9.
Fra le argomentazioni più care allo Pseudo-Senofonte, che si richiama molto anche al pensiero dei sofisti, vi è la distinzione fra i χρηστοί, i buoni, nobili ricchi oligarchici e i πονηροί, i cattivi poveri democratici10. È evidente che in questo attacco polemico si vuol colpire innanzitutto l’immagine di δῆμος, la concezione del πλῆθος che governa in unità, e quindi si vuole colpire ciò che fino ad allora, non solo nella teoria, ma anche nella realizzazione pratica, era stata l’essenza della democrazia.
Con questo ultimo testo si conclude la breve rassegna di autori del V secolo che ci ha permesso di individuare i temi che, a quel tempo, definivano il concetto di democrazia.
Vorrei però, prima, di concludere, proporre in sintesi le conclusioni cui sono giunta in un mio studio sul concetto di democrazia nell’oratore Lisia, in modo da offrire un piccolo esempio di come tale concetto e altri affini fossero usati già nell’antichità per propagandare attività politiche contrarie alla democrazia.
Da un esame della terminologia usata dall’oratore emerge che egli lega l’idea di democrazia a quella della maggioranza del popolo al potere, che egli definisce con la parola πλῆθος. La frequenza e l’insistenza con cui questo termine figura nei discorsi lisiani è indice di una scelta personale da parte dell’oratore, che era di tendenze decisamente democratiche. Tale scelta risponde a due motivazioni precise, l’una di ordine culturale, l’altra di ordine più strettamente politico: πλῆθος è il termine tipico degli autori del V secolo e richiama da vicino l’immagine della democrazia periclea, modello ideale per Lisia; insistendo sul numero, inoltre, Lisia vuole rispondere a quanti tentano di realizzare una costituzione democratica a base ristretta. Egli si rende conto che non tanto gli oligarchici costituiscono un pericolo per la democrazia, quanto piuttosto i moderati, gli uomini che, come Teramene e Formisio 11, mascherano dietro i nomi di σωτηρία, ὁμόνοια, πάτριος πολιτεία, tipici del linguaggio democratico, un intento profondamente diverso. Per questo motivo l’oratore recupera al loro significato e contenυto democratico tali parole, e smaschera la manipolazione che di esse viene fatta in chiave “moderata”, mostrando ad esempio che la σωτηρία o la πάτριος πολιτεία auspicate da Teramene non portano altro che la rovina della città, l’asservimento del popolo e la fine della democrazia stessa12. (12)
Bibliografia
P. Cloché, La démocratie athénienne. Paris 1951
A. H. M. Jones, Athenian Democracy, Oxford 1957
G. De Sanctis, Atthis. Storia della repubblica ateniese dalle origini alla età di Pericle, Torino 1912
V. Ehrenberg, Origin of Democracy, «Historla» I (1950), pp. 515-548
V. G. Forrest, Le origini della democrazia greca, 800-400 a.C., Milano, ed. il Saggiatore, 1966
C. Bearzot, Democrazia: genesi di un concetto. I suoi contenuti nella Grecia del V secolo, «Studium» 75 (1979) pp. 183-191
G. Fassò, La democrazia in Grecia. Antologia politi ca, Bologna, ed. Il Mulino, 1959
D. P. Orsi, Δημοκρατία, Lessico politico. «Quaderni di storia» 11 (1980) pp. 267-296.