Home Uncategorized Lo sviluppo del genere comico

Lo sviluppo del genere comico

by Mariapina Dragonetti

nella programmazione letteraria del liceo classico. Ipotesi di una diversa distribuzione

in Zetesis, 2024,1

di Mariapina Dragonetti

Materiali e ampliamenti

1. Il problema delle origini e della denominazione della commedia.

Materiali

Da Aristotele, Poetica 1448a; 1449a-b
Le diverse forme di arte drammatica

[1448a] Ἔτι δὲ τούτων τρίτη διαφορὰ τὸ ὡς ἕκαστα τούτων μιμήσαιτο ἄν τις. καὶ γὰρ ἐν τοῖς αὐτοῖς καὶ τὰ αὐτὰ μιμεῖσθαι ἔστιν ὁτὲ μὲν ἀπαγγέλλοντα, ἢ ἕτερόν τι γιγνόμενον ὥσπερ Ὅμηρος ποιεῖ ἢ ὡς τὸν αὐτὸν καὶ μὴ μεταβάλλοντα, ἢ πάντας ὡς πράττοντας καὶ ἐνεργοῦντας τοὺς μιμουμένους. ἐν τρισὶ δὴ ταύταις διαφοραῖς ἡ μίμησίς ἐστιν, ὡς εἴπομεν κατ’ ἀρχάς, ἐν οἷς τε ‹καὶ ἃ› καὶ ὥς. ὥστε τῇ μὲν ὁ αὐτὸς ἂν εἴη μιμητὴς Ὁμήρῳ Σοφοκλῆς, μιμοῦνται γὰρ ἄμφω σπουδαίους, τῇ δὲ Ἀριστοφάνει, πράττοντας γὰρ μιμοῦνται καὶ δρῶντας ἄμφω. ὅθεν καὶ δράματα καλεῖσθαί τινες αὐτά φασιν, ὅτι μιμοῦνται δρῶντας.

C’è poi ancora, in queste arti, una terza differenza, che riguarda la maniera con cui ciascuno di questi oggetti viene raffigurato. Si può difatti, impiegando i medesimi mezzi i medesimi oggetti, farsi a volte imitatore in maniera espositiva, sia divenendo un poco un’altra persona come fa Omero, sia restando sé stesso senza cambiare; e altre volte invece si possono presentare tutti in azione e all’opera quelli che fanno l’imitazione.
Dunque l’imitazione, come dicemmo nelle premesse, si realizza con queste tre differenze, che consistono nei mezzi e negli oggetti e nella maniera. Quindi Sofocle, sotto un certo aspetto, è imitatore identico ad Omero, perché entrambi raffigurano uomini egregi, e sotto altro aspetto è identico ad Aristofane, perché entrambi raffigurano persone che agiscono drammaticamente. (Traduzione di C. Gallavotti)

Cenni storici

διὸ καὶ ἀντιποιοῦνται τῆς τε τραγῳδίας καὶ τῆς κωμῳδίας οἱ Δωριεῖς (τῆς μὲν γὰρ κωμῳδίας οἱ Μεγαρεῖς οἵ τε ἐνταῦθα ὡς ἐπὶ τῆς παρ’ αὐτοῖς δημοκρατίας γενομένης καὶ οἱ ἐκ Σικελίας, ἐκεῖθεν γὰρ ἦν Ἐπίχαρμος ὁ ποιητὴς πολλῷ πρότερος ὢν Χιωνίδου καὶ Μάγνητος· καὶ τῆς τραγῳδίας ἔνιοι τῶν ἐν Πελοποννήσῳ) ποιούμενοι τὰ ὀνόματα σημεῖον· αὐτοὶ μὲν γὰρ κώμας τὰς περιοικίδας καλεῖν φασιν, Ἀθηναίους δὲ δήμους, ὡς κωμῳδοὺς οὐκ ἀπὸ τοῦ κωμάζειν λεχθέντας ἀλλὰ τῇ κατὰ κώμας πλάνῃ ἀτιμαζομένους ἐκ τοῦ ἄστεως· […]

Ed è per questo che proprio i Dori pretendono di rivendicare a sé la tragedia e la commedia, e cioè la commedia i Megaresi di qui, in quanto sarebbe nata nello stato democratico istituito presso di loro, e i Megaresi di Sicilia in quanto era siciliano il poeta Epicarmo che visse molto prima di Chionide e di Magnete. E adducono appunto i nomi come prova: costoro dimostrano di chiamare kome i distretti territoriali, che per gli Ateniesi sono invece i demi, giacché pensano che i commedianti si designino cosi non dal komos recato in giro, bensì dall’andare in giro per le kome della campagna essendo banditi dalla città. […]

Sviluppo dell’arte drammatica

[1449a] παραφανείσης δὲ τῆς τραγῳδίας καὶ κωμῳδίας οἱ ἐφ’ ἑκατέραν τὴν ποίησιν ὁρμῶντες κατὰ τὴν οἰκείαν φύσιν οἱ μὲν ἀντὶ τῶν ἰάμβων κωμῳδοποιοὶ ἐγένοντο, οἱ δὲ ἀντὶ τῶν ἐπῶν τραγῳδοδιδάσκαλοι, διὰ τὸ μείζω καὶ ἐντιμότερα τὰ σχήματα εἶναι ταῦτα ἐκείνων. τὸ μὲν οὖν ἐπισκοπεῖν εἰ ἄρα ἔχει ἤδη ἡ τραγῳδία τοῖς εἴδεσιν ἱκανῶς ἢ οὔ, αὐτό τε καθ’ αὑτὸ κρῖναι καὶ πρὸς τὰ θέατρα, ἄλλος λόγος.
γενομένη δ’ οὖν ἀπ’ ἀρχῆς αὐτοσχεδιαστικῆς ‑ καὶ αὐτὴ [la tragedia] καὶ ἡ κωμῳδία, καὶ ἡ μὲν ἀπὸ τῶν ἐξαρχόντων τὸν διθύραμβον, ἡ δὲ ἀπὸ τῶν τὰ φαλλικὰ ἃ ἔτι καὶ νῦν ἐν πολλαῖς τῶν πόλεων διαμένει νομιζόμενα ‑ κατὰ μικρὸν ηὐξήθη προαγόντων ὅσον ἐγίγνετο φανερὸν αὐτῆς· καὶ πολλὰς μεταβολὰς μεταβαλοῦσα ἡ τραγῳδία ἐπαύσατο, ἐπεὶ ἔσχε τὴν αὑτῆς φύσιν. […]

E quando tragedia e commedia comparvero, chi era dedito all’una o all’altra parte dell’attività poetica, segui la propria natura; così alcuni, lasciati i giambi, divennero commediografi, e gli altri, invece che narratori, furono tragediografi, perché le nuove strutture risultavano più insigni e più pregevoli rispetto alle precedenti. Un altro argomento da considerare sarebbe se la tragedia, per quanto riguarda le forme dell’arte, ha già raggiunto o no la completezza, a giudicare sia la cosa in teoria sia in rapporto alla presentazione teatrale.
Derivava la sua origine dall’improvvisazione, non solo la tragedia, ma anche la commedia: quella dai corifei che intonavano il ditirambo, questa da chi guidava le processioni falliche che ancor oggi in varie città sono rimaste nell’uso; e poi a poco a poco si accrebbe, perché i poeti coltivavano ciò che in essa appariva spontaneo; così, dopo essere passata attraverso vari mutamenti, la tragedia si arrestò perché aveva raggiunto la sua propria natura.

Ἡ δὲ κωμῳδία ἐστὶν ὥσπερ εἴπομεν μίμησις φαυλοτέρων μέν, οὐ μέντοι κατὰ πᾶσαν κακίαν, ἀλλὰ τοῦ αἰσχροῦ ἐστι τὸ γελοῖον μόριον. τὸ γὰρ γελοῖόν ἐστιν ἁμάρτημά τι καὶ αἶσχος ἀνώδυνον καὶ οὐ φθαρτικόν, οἷον εὐθὺς τὸ γελοῖον πρόσωπον αἰσχρόν τι καὶ διεστραμμένον ἄνευ ὀδύνης. αἱ μὲν οὖν τῆς τραγῳδίας μεταβάσεις καὶ δι’ ὧν ἐγένοντο οὐ λελήθασιν, ἡ δὲ κωμῳδία διὰ τὸ μὴ [1449b] σπουδάζεσθαι ἐξ ἀρχῆς ἔλαθεν· καὶ γὰρ χορὸν κωμῳδῶν ὀψέ ποτε ὁ ἄρχων ἔδωκεν, ἀλλ’ ἐθελονταὶ ἦσαν. ἤδη δὲ σχήματά τινα αὐτῆς ἐχούσης οἱ λεγόμενοι αὐτῆς ποιηταὶ μνημονεύονται. τίς δὲ πρόσωπα ἀπέδωκεν ἢ προλόγους ἢ πλήθη ὑποκριτῶν καὶ ὅσα τοιαῦτα, ἠγνόηται. τὸ δὲ μύθους ποιεῖν [Ἐπίχαρμος καὶ Φόρμις] τὸ μὲν ἐξ ἀρχῆς ἐκ Σικελίας ἦλθε, τῶν δὲ Ἀθήνησιν Κράτης πρῶτος ἦρξεν ἀφέμενος τῆς ἰαμβικῆς ἰδέας καθόλου ποιεῖν λόγους καὶ μύθους.

D’altra parte la commedia, come dicevo, è imitazione di soggetti vili, ma non sul piano di una totale malvagità, sebbene del brutto; e suo elemento è il ridicolo. Ora il ridicolo è una deficienza ed è un difetto, ma non doloroso né esiziale, come per l’appunto la maschera buffa è qualche cosa di brutto e sgraziato che non desta sofferenza. E dunque si conoscono quelli che furono i mutamenti della tragedia, e da chi furono attuati; ma la commedia alle origini ci rimane ignota, perché non era apprezzata; avvenne tardi che l’arconte, ad Atene, desse ufficialmente il coro ai commedianti; questi erano, invece, dei privati volontari; quando poi cominciò ad avere certe sue strutture, allora anche per la commedia ci furono poeti e se ne tramandano i nomi. Non si sa chi istituì le maschere o i prologhi o il numero degli attori, e altri particolari del genere; ma la maniera di costruire racconti come Epicarmo e Formide, era venuta di Sicilia per la prima volta: Cratete fra gli Ateniesi fu il primo ad abbandonare la maniera giambica, e a comporre totalmente dialoghi e racconti.

Da Aristofane, Acarnesi 249-274

Δικαιόπολις
καὶ μὴν καλόν γ᾽ ἔστ᾽: ὦ Διόνυσε δέσποτα
κεχαρισμένως σοι τήνδε τὴν πομπὴν ἐμὲ
πέμψαντα καὶ θύσαντα μετὰ τῶν οἰκετῶν
γαγεῖν τυχηρῶς τὰ κατ᾽ ἀγροὺς Διονύσια,    250
στρατιᾶς ἀπαλλαχθέντα: τὰς σπονδὰς δέ μοι
καλῶς ξυνενεγκεῖν τὰς τριακοντούτιδας.
ἄγ᾽ ὦ θύγατερ ὅπως τὸ κανοῦν καλὴ καλῶς
οἴσεις βλέπουσα θυμβροφάγον. ὡς μακάριος
ὅστις σ᾽ ὀπύσει κἀκποιήσεται γαλᾶς            255
σοῦ μηδὲν ἥττους βδεῖν, ἐπειδὰν ὄρθρος ᾖ.
πρόβαινε, κἀν τὤχλῳ φυλάττεσθαι σφόδρα
μή τις λαθών σου περιτράγῃ τὰ χρυσία.
ὦ Ξανθία, σφῷν δ᾽ ἐστὶν ὀρθὸς ἑκτέος
ὁ φαλλὸς ἐξόπισθε τῆς κανηφόρου:              260
ἐγὼ δ᾽ ἀκολουθῶν ᾁσομαι τὸ φαλλικόν:
σὺ δ᾽ ὦ γύναι θεῶ μ᾽ ἀπὸ τοῦ τέγους. πρόβα.
Φαλῆς ἑταῖρε Βακχίου
ξύγκωμε νυκτοπεριπλάνητε
μοιχὲ παιδεραστά,                                         265
ἕκτῳ σ᾽ ἔτει προσεῖπον ἐς
τὸν δῆμον ἐλθὼν ἄσμενος,
σπονδὰς ποιησάμενος ἐμαυτῷ,
πραγμάτων τε καὶ μαχῶν
καὶ Λαμάχων ἀπαλλαγείς.                             270
πολλῷ γάρ ἐσθ᾽ ἥδιον, ὦ Φαλῆς Φαλῆς,
κλέπτουσαν εὑρόνθ᾽ ὡρικὴν ὑληφόρον
τὴν Στρυμοδώρου Θρᾷτταν ἐκ τοῦ Φελλέως
μέσην λαβόντ᾽ ἄραντα καταβαλόντα
καταγιγαρτίσ᾽ ὦ                                            275
Φαλῆς Φαλῆς.
ἐὰν μεθ᾽ ἡμῶν ξυμπίῃς, ἐκ κραιπάλης
ἕωθεν εἰρήνης ῥοφήσει τρύβλιον:    

Diceopoli
Ecco, cosí va bene. ­ (Pregando) O Dioniso mio signore, gradita ti sia questa processione che io, con i miei, conduco in tuo onore dopo aver sacrificato, celebrando felicemente le Dionisie agresti e liberatomi dal servizio militare: e che mi vada bene questa tregua trentennale. (Alla figlia) Su, figlia bella, reggi per bene il canestro, con la faccia seria di chi mastica la salvia. Beato chi ti prenderà in moglie e ti farà fare tanti gattini, che scoreggino all’alba non meno di te. Vieni avanti, e (accennando agli spettatori) sta’ bene attenta, nella folla, che qualcuno non ti gratti di nascosto gli oggetti d’oro. (Al servo) Xantia, voi due dovete tenere il fallo ritto dietro la canefora: io seguirò cantando l’inno fallico. E tu, moglie, guardami dal tetto. (Al corteo) Avanti!

­ O Falès, amico a Bacco
e compagno d’orge, nottivago adultero amator di fanciulli,
dopo cinque anni tornando
felicemente al mio villaggio ti saluto,
ora che ho fatto la tregua per mio conto
e mi son liberato di guai
e di battaglie e di Lamachi.
Certo, è molto piú dolce, o Fales, o Fales,
incontrando la fiorente serva di Strimodòro,
che torna dalla petraia con la legna rubata,
prenderla per la vita, alzarla,
gettarla a terra e… piluccarsela!
O Fales, o Fales,
se tu vieni a bere insieme con noi, dopo la bisboccia,
all’alba, tracannerai un catino di pace:
e lo scudo, se ne starà appeso sul focolare.
che venisti a patti con i Lacòni: ma ti punirò. (Traduzione di R. Cantarella)

2-3. La fase della commedia attica antica: Aristofane

Materiali

Traduzione di passi da Tucidide, Guerra del Peloponneso III, 37, 3-5; 38, 2-7; IV, 21-23; 38-41

IV, 21-23

Οἱ μὲν οὖν Λακεδαιμόνιοι τοσαῦτα εἶπον, νομίζοντες τοὺς Ἀθηναίους ἐν τῶι πρὶν χρόνωι σπονδῶν μὲν ἐπιθυμεῖν, σφῶν δὲ ἐναντιουμένων κωλύεσθαι, διδομένης δὲ εἰρήνης ἀσμένους δέξεσθαί τε καὶ τοὺς ἄνδρας ἀποδώσειν. οἱ δὲ τὰς μὲν σπονδάς, ἔχοντες τοὺς ἄνδρας ἐν τῆι νήσωι, ἤδη σφίσιν ἐνόμιζον ἑτοίμους εἶναι, ὁπόταν βούλωνται ποιεῖσθαι πρὸς αὐτούς, τοῦ δὲ πλέονος ὠρέγοντο. μάλιστα δὲ αὐτοὺς ἐνῆγε Κλέων ὁ Κλεαινέτου, ἀνὴρ δημαγωγὸς κατ’ ἐκεῖνον τὸν χρόνον ὢν καὶ τῶι πλήθει πιθανώτατος· καὶ ἔπεισεν ἀποκρίνασθαι ὡς χρὴ τὰ μὲν ὅπλα καὶ σφᾶς αὐτοὺς τοὺς ἐν τῆι νήσωι παραδόντας πρῶτον κομισθῆναι Ἀθήναζε, ἐλθόντων δὲ ἀποδόντας Λακεδαιμονίους Νίσαιαν καὶ Πηγὰς καὶ Τροιζῆνα καὶ Ἀχαΐαν, ἃ οὐ πολέμωι ἔλαβον, ἀλλ’ ἀπὸ τῆς προτέρας ξυμβάσεως Ἀθηναίων ξυγχωρησάντων κατὰ ξυμφορὰς καὶ ἐν τῶι τότε δεομένων τι μᾶλλον σπονδῶν, κομίσασθαι τοὺς ἄνδρας καὶ σπονδὰς ποιήσασθαι ὁπόσον ἂν δοκῆι χρόνον ἀμφοτέροις. οἱ δὲ πρὸς μὲν τὴν ἀπόκρισιν οὐδὲν ἀντεῖπον, ξυνέδρους δὲ σφίσιν ἐκέλευον ἑλέσθαι οἵτινες λέγοντες καὶ ἀκούοντες περὶ ἑκάστου ξυμβήσονται κατὰ ἡσυχίαν ὅτι ἂν πείθωσιν ἀλλήλους. Κλέων δὲ ἐνταῦθα δὴ πολὺς ἐνέκειτο, λέγων γιγνώσκειν μὲν καὶ πρότερον οὐδὲν ἐν νῶι ἔχοντας δίκαιον αὐτούς, σαφὲς δ’ εἶναι καὶ νῦν, οἵτινες τῶι μὲν πλήθει οὐδὲν ἐθέλουσιν εἰπεῖν, ὀλίγοις δὲ ἀνδράσι ξύνεδροι βούλονται γίγνεσθαι· ἀλλὰ εἴ τι ὑγιὲς διανοοῦνται, λέγειν ἐκέλευσεν ἅπασιν. ὁρῶντες δὲ οἱ Λακεδαιμόνιοι οὔτε σφίσιν οἷόν τε ὂν ἐν πλήθει εἰπεῖν, εἴ τι καὶ ὑπὸ τῆς ξυμφορᾶς ἐδόκει αὐτοῖς ξυγχωρεῖν, μὴ ἐς τοὺς ξυμμάχους διαβληθῶσιν εἰπόντες καὶ οὐ τυχόντες, οὔτε τοὺς Ἀθηναίους ἐπὶ μετρίοις ποιήσοντας ἃ προυκαλοῦντο, ἀνεχώρησαν ἐκ τῶν Ἀθηνῶν ἄπρακτοι. ἀφικομένων δὲ αὐτῶν διελέλυντο εὐθὺς αἱ σπονδαὶ αἱ περὶ Πύλον, καὶ τὰς ναῦς οἱ Λακεδαιμόνιοι ἀπήιτουν, καθάπερ ξυνέκειτο· οἱ δ’ Ἀθηναῖοι ἐγκλήματα ἔχοντες ἐπιδρομήν τε τῶι τειχίσματι παράσπονδον καὶ ἄλλα οὐκ ἀξιόλογα δοκοῦντα εἶναι οὐκ ἀπεδίδοσαν, ἰσχυριζόμενοι ὅτι δὴ εἴρητο, ἐὰν καὶ ὁτιοῦν παραβαθῆι, λελύσθαι τὰς σπονδάς. οἱ δὲ Λακεδαιμόνιοι ἀντέλεγόν τε καὶ ἀδίκημα ἐπικαλέσαντες τὸ τῶν νεῶν ἀπελθόντες ἐς πόλεμον καθίσταντο. καὶ τὰ περὶ Πύλον ὑπ’ ἀμφοτέρων κατὰ κράτος ἐπολεμεῖτο, Ἀθηναῖοι μὲν δυοῖν νεοῖν ἐναντίαιν αἰεὶ τὴν νῆσον περιπλέοντες τῆς ἡμέρας (τῆς δὲ νυκτὸς καὶ ἅπασαι περιώρμουν, πλὴν τὰ πρὸς τὸ πέλαγος, ὁπότε ἄνεμος εἴη· καὶ ἐκ τῶν Ἀθηνῶν αὐτοῖς εἴκοσι νῆες ἀφίκοντο ἐς τὴν φυλακήν, ὥστε αἱ πᾶσαι ἑβδομήκοντα ἐγένοντο), Πελοποννήσιοι δὲ ἔν τε τῆι ἠπείρωι στρατοπεδευόμενοι καὶ προσβολὰς ποιούμενοι τῶι τείχει, σκοποῦντες καιρὸν εἴ τις παραπέσοι ὥστε τοὺς ἄνδρας σῶσαι.

21. Fu questo, sostanzialmente, il discorso degli ambasciatori spartani. A loro avviso, poiché gli Ateniesi già in precedenza inclinavano a trattare per un armistizio (ma i loro approcci si erano arenati contro la fredda ostinazione di Sparta), ora che le prospettive di pace divenivano più concrete avrebbero accolto con entusiasmo quest’offerta e come avvio alla distensione, avrebbero provveduto alla riconsegna dei prigionieri. Ma gli Ateniesi, che potevano disporre della vita o della morte di quegli uomini sull’isola! ritennero di poter ormai considerare sicura la facoltà di costringere Sparta, in qualsiasi momento, a un accordo: quindi manovravano per aumentare le loro richieste. Questa direzione politica era caldeggiata principalmente da Cleone figlio di Cleeneto, il personaggio più autorevole in quel tempo del partito democratico e il più influente sulla moltitudine. E costui indusse gli Ateniesi a precisare anzitutto che i soldati reclusi a Sfacteria dovevano rimettere ai loro custodi le armi, quindi essere trasportati ad Atene. Al loro arrivo Sparta avrebbe dovuto di nuovo cedere Nisea, Pege, Trezene e l’Acaia, località che non erano cadute in seguito ad operazioni militari, ma in virtù di una precedente convenzione a cui Atene s’era indotta quando, in ginocchio per una grave disfatta, aveva un disperato bisogno di tregua. Solo allora gli Ateniesi avrebbero restituito le truppe e si sarebbero piegati a un armistizio per la durata che ad entrambi fosse parsa opportuna. 22. Nessuna replica degli ambasciatori spartani a questa presa di posizione: ma suggerirono agli Ateniesi di comporre una commissione di consiglieri con cui, intavolando con calma trattative verbali, si potessero esaminare singolarmente le controversie e su una piattaforma di reciproca comprensione, stilare un accordo complessivo. A questo punto Cleone s’avventa come una furia a urlare che già da tempo ha intuito che gli ambasciatori agiscono con scopi poco puliti, verità che finalmente splende chiara, ora che accampano scuse per non presentarsi al popolo a sostenere aperte le proprie tesi e preferiscono il conciliabolo con un comitato ristretto di cittadini. Se avevano proposte onorevoli da esporre, lo facessero in pubblico. Ma gli Spartani comprendevano che non era loro possibile divulgare alla moltitudine le clausole del loro progetto d’accordo (anche se si andavano convincendo della necessità di piegarsi a qualche nuova concessione), evitando al tempo stesso di attirarsi le critiche degli altri paesi della loro lega se avessero parlato senza ottenere nulla di positivo. D’altra parte gli Ateniesi non si mostravano disposti ad accogliere con animo equo e accondiscendente l’invito all’armistizio: perciò gli ambasciatori abbandonarono Atene, a mani vuote. 23. Al loro rientro decadde immediatamente la tregua stilata per Pilo e gli Spartani pretesero la restituzione delle navi, come prevedeva la convenzione. Ma gli Ateniesi sollevarono accuse, strepitarono per un assalto contro il loro forte e per altre presunte infrazioni, certamente di lieve peso e si rifiutarono in definitiva di ridare la squadra, facendo leva sull’articolo che l’armistizio si doveva considerare sospeso al momento stesso in cui, in un modo o nell’altro i contraenti avessero trasgredito l’accordo. Gli Spartani tempestarono per la flotta abusivamente trattenuta e, allontanatisi, riaprirono la lotta. Così le ostilità avvamparono con inaudita violenza intorno a Pilo. Di giorno gli Ateniesi sfioravano incessantemente le coste dell’isola con due vascelli che incrociavano in senso contrario (di notte il blocco era ristabilito con tutta la flotta tranne che dalla parte del mare aperto, quando s’alzava il vento: e per una sorveglianza più accurata dell’isola erano giunte da Atene altre venti navi, sicché il numero complessivo toccava le ottanta unità). I Peloponnesi invece si accamparono sulla terraferma e sferravano attacchi al castello, sempre all’erta se si presentava il momento propizio per trarre a salvezza: propri soldati reclusi a Sfacteria.

IV, 38-41

οἱ δὲ ἀκούσαντες παρῆκαν τὰς ἀσπίδας οἱ πλεῖστοι καὶ τὰς χεῖρας ἀνέσεισαν, δηλοῦντες προσίεσθαι τὰ κεκηρυγμένα. μετὰ δὲ ταῦτα γενομένης τῆς ἀνοκωχῆς ξυνῆλθον ἐς λόγους ὅ τε Κλέων καὶ ὁ Δημοσθένης καὶ ἐκείνων Στύφων ὁ Φάρακος, τῶν πρότερον ἀρχόντων τοῦ μὲν πρώτου τεθνηκότος Ἐπιτάδου, τοῦ δὲ μετ’ αὐτὸν Ἱππαγρέτου ἐφηιρημένου ἐν τοῖς νεκροῖς ἔτι ζῶντος κειμένου ὡς τεθνεῶτος, αὐτὸς τρίτος ἐφηιρημένος ἄρχειν κατὰ νόμον, εἴ τι ἐκεῖνοι πάσχοιεν. ἔλεγε δὲ ὁ Στύφων καὶ οἱ μετ’ αὐτοῦ ὅτι βούλονται διακηρυκεύσασθαι πρὸς τοὺς ἐν τῆι ἠπείρωι Λακεδαιμονίους ὅτι χρὴ σφᾶς ποιεῖν. καὶ ἐκείνων μὲν οὐδένα ἀφέντων, αὐτῶν δὲ τῶν Ἀθηναίων καλούντων ἐκ τῆς ἠπείρου κήρυκας καὶ γενομένων ἐπερωτήσεων δὶς ἢ τρίς, ὁ τελευταῖος διαπλεύσας αὐτοῖς ἀπὸ τῶν ἐκ τῆς ἠπείρου Λακεδαιμονίων ἀνὴρ ἀπήγγειλεν ὅτι [οἱ] ‘Λακεδαιμόνιοι κελεύουσιν ὑμᾶς αὐτοὺς περὶ ὑμῶν αὐτῶν βουλεύεσθαι μηδὲν αἰσχρὸν ποιοῦντας’· οἱ δὲ καθ’ ἑαυτοὺς βουλευσάμενοι τὰ ὅπλα παρέδοσαν καὶ σφᾶς αὐτούς. καὶ ταύτην μὲν τὴν ἡμέραν καὶ τὴν ἐπιοῦσαν νύκτα ἐν φυλακῆι εἶχον αὐτοὺς οἱ Ἀθηναῖοι· τῆι δ’ ὑστεραίαι οἱ μὲν Ἀθηναῖοι τροπαῖον στήσαντες ἐν τῆι νήσωι τἆλλα διεσκευάζοντο ὡς ἐς πλοῦν, καὶ τοὺς ἄνδρας τοῖς τριηράρχοις διεδίδοσαν ἐς φυλακήν, οἱ δὲ Λακεδαιμόνιοι κήρυκα πέμψαντες τοὺς νεκροὺς διεκομίσαντο. ἀπέθανον δ’ ἐν τῆι νήσωι καὶ ζῶντες ἐλήφθησαν τοσοίδε· εἴκοσι μὲν ὁπλῖται διέβησαν καὶ τετρακόσιοι οἱ πάντες· τούτων ζῶντες ἐκομίσθησαν ὀκτὼ ἀποδέοντες τριακόσιοι, οἱ δὲ ἄλλοι ἀπέθανον. καὶ Σπαρτιᾶται τούτων ἦσαν τῶν ζώντων περὶ εἴκοσι καὶ ἑκατόν. Ἀθηναίων δὲ οὐ πολλοὶ διεφθάρησαν· ἡ γὰρ μάχη οὐ σταδαία ἦν.
Χρόνος δὲ ὁ ξύμπας ἐγένετο ὅσον οἱ ἄνδρες [οἱ] ἐν τῆι νήσωι ἐπολιορκήθησαν, ἀπὸ τῆς ναυμαχίας μέχρι τῆς ἐν τῆι νήσωι μάχης, ἑβδομήκοντα ἡμέραι καὶ δύο. τούτων περὶ εἴκοσιν ἡμέρας, ἐν αἷς οἱ πρέσβεις περὶ τῶν σπονδῶν ἀπῆισαν, ἐσιτοδοτοῦντο, τὰς δὲ ἄλλας τοῖς ἐσπλέουσι λάθραι διετρέφοντο. καὶ ἦν σῖτός τις ἐν τῆι νήσωι καὶ ἄλλα βρώματα ἐγκατελήφθη· ὁ γὰρ ἄρχων Ἐπιτάδας ἐνδεεστέρως ἑκάστωι παρεῖχεν ἢ πρὸς τὴν ἐξουσίαν. οἱ μὲν δὴ Ἀθηναῖοι καὶ οἱ Πελοποννήσιοι ἀνεχώρησαν τῶι στρατῶι ἐκ τῆς Πύλου ἑκάτεροι ἐπ’ οἴκου, καὶ τοῦ Κλέωνος καίπερ μανιώδης οὖσα ἡ ὑπόσχεσις ἀπέβη· ἐντὸς γὰρ εἴκοσιν ἡμερῶν ἤγαγε τοὺς ἄνδρας, ὥσπερ ὑπέστη. παρὰ γνώμην τε δὴ μάλιστα τῶν κατὰ τὸν πόλεμον τοῦτο τοῖς Ἕλλησιν ἐγένετο· τοὺς γὰρ Λακεδαιμονίους οὔτε λιμῶι οὔτ’ ἀνάγκηι οὐδεμιᾶι ἠξίουν τὰ ὅπλα παραδοῦναι, ἀλλὰ ἔχοντας καὶ μαχομένους ὡς ἐδύναντο ἀποθνήισκειν. [4.40.2] ἀπιστοῦντές τε μὴ εἶναι τοὺς παραδόντας τοῖς τεθνεῶσιν ὁμοίους, καί τινος ἐρομένου ποτὲ ὕστερον τῶν Ἀθηναίων ξυμμάχων δι’ ἀχθηδόνα ἕνα τῶν ἐκ τῆς νήσου αἰχμαλώτων εἰ οἱ τεθνεῶτες αὐτῶν καλοὶ κἀγαθοί, ἀπεκρίνατο αὐτῶι πολλοῦ ἂν ἄξιον εἶναι τὸν ἄτρακτον, λέγων τὸν οἰστόν, εἰ τοὺς ἀγαθοὺς διεγίγνωσκε, δήλωσιν ποιούμενος ὅτι ὁ ἐντυγχάνων τοῖς τε λίθοις καὶ τοξεύμασι διεφθείρετο.

Κομισθέντων δὲ τῶν ἀνδρῶν οἱ Ἀθηναῖοι ἐβούλευσαν δεσμοῖς μὲν αὐτοὺς φυλάσσειν μέχρι οὗ τι ξυμβῶσιν, ἢν δ’ οἱ Πελοποννήσιοι πρὸ τούτου ἐς τὴν γῆν ἐσβάλωσιν, ἐξαγαγόντες ἀποκτεῖναι. τῆς δὲ Πύλου φυλακὴν κατεστήσαντο, καὶ οἱ ἐκ τῆς Ναυπάκτου Μεσσήνιοι ὡς ἐς πατρίδα ταύτην (ἔστι γὰρ ἡ Πύλος τῆς Μεσσηνίδος ποτὲ οὔσης γῆς) πέμψαντες σφῶν αὐτῶν τοὺς ἐπιτηδειοτάτους ἐλήιζοντό τε τὴν Λακωνικὴν καὶ πλεῖστα ἔβλαπτον ὁμόφωνοι ὄντες. οἱ δὲ Λακεδαιμόνιοι ἀμαθεῖς ὄντες ἐν τῶι πρὶν χρόνωι ληιστείας καὶ τοῦ τοιούτου πολέμου, τῶν τε Εἱλώτων αὐτομολούντων καὶ φοβούμενοι μὴ καὶ ἐπὶ μακρότερον σφίσι τι νεωτερισθῆι τῶν κατὰ τὴν χώραν, οὐ ῥαιδίως ἔφερον, ἀλλὰ καίπερ οὐ βουλόμενοι ἔνδηλοι εἶναι τοῖς Ἀθηναίοις ἐπρεσβεύοντο παρ’ αὐτοὺς καὶ ἐπειρῶντο τήν τε Πύλον καὶ τοὺς ἄνδρας κομίζεσθαι. οἱ δὲ μειζόνων τε ὠρέγοντο καὶ πολλάκις φοιτώντων αὐτοὺς ἀπράκτους ἀπέπεμπον. ταῦτα μὲν τὰ περὶ Πύλον γενόμενα.

38. Ascoltata attentamente la proposta, la maggior parte abbassò gli scudi e agitò in alto le braccia significando che il messaggio aveva incontrato il loro favore. Dopo questi preliminari si concordò una tregua: si incontrarono per parlamentare, Cleone e Demostene e, da parte avversa Stifone figlio di Farace poiché di coloro che tenevano in precedenza il comando il primo, Epitada, era rimasto sul terreno, quello scelto per sostituirlo, Ippagreto, sebbene vivo era dato per morto e giaceva tra i cadaveri, e quell’ultimo era stato eletto terzo, secondo le norme in vigore, per subentrare ai primi due, in caso d’infortunio. Stifone, accompagnato dai suoi, dichiarò che desiderava uno scambio di messaggi con gli Spartani che attendevano sul continente, prima di fissare una linea definitiva di comportamento. Ma i capi Ateniesi non aprirono per nessuno le maglie del blocco: sollecitarono essi stessi l’invio di araldi dalle forze del continente. Si ebbero due o tre vertici e l’ultimo corriere proveniente per nave dalla terraferma recò da parte spartana la seguente risposta: «Gli Spartani vi ingiungono di scegliere liberi da voi la vostra strada, ma che l’onore sia salvo». Si raccolsero, e decretarono di rimettersi agli Ateniesi con le armi. Costoro li tennero sotto stretta vigilanza quel giorno e la notte successiva. Al sorgere del sole gli Ateniesi eressero un trofeo sull’isola e provvidero alle altre disposizioni necessarie per la partenza, assegnando ai trierarchi i prigionieri divisi in gruppi con la consegna di tenerli in custodia. Gli Spartani, mediante l’invio di un araldo trattarono e ottennero la restituzione dei morti. Registro il numero dei caduti e dei soldati prigionieri nelle operazioni sull’isola: vi si erano trasferiti in tutto quattrocentoventi opliti, tra cui duecentonovantadue furono condotti in prigionia ad Atene. Gli altri erano rimasti sul campo. Tra questi sopravvissuti si contavano circa centoventi Spartiati. Da parte ateniese le perdite furono irrilevanti, poiché la battaglia non si sviluppò in fasi statiche, con urti impressi e sostenuti a pié saldo.
39. Gli Spartani rimasero bloccati nell’isola, dallo scontro con le navi fino alla battaglia di Sfacteria, per un periodo complessivo di settantadue giorni. Durante questo tempo, per i venti giorni che gli ambasciatori impiegarono a compiere il tragitto di andata e ritorno in occasione delle trattative di pace, furono regolarmente riforniti di generi alimentari: per il resto si nutrirono con le provviste introdotte di contrabbando. Infatti nell’isola si rinvenne un certo quantitativo di frumento, ed altri commestibili che v’erano rimasti. Il comandante, Epitada, aveva assunto la regola di distribuire a ciascuno razioni più scarse di quanto avrebbe potuto. Ateniesi e Spartani disposero il rientro in patria delle rispettive forze impegnate a Pilo. La promessa di Cleone, per quanto avventata, era adempiuta: nel giro di venti giorni, come aveva assicurato, per opera sua i prigionieri si trovavano in Atene.
40. Dai Greci questo fu considerato l’episodio più stupefacente di tutta la guerra. Poiché era diffusa l’opinione che gli Spartani non avrebbero consegnato le armi né per fame né vinti da qualche altra strettezza, ma che combattessero in qualunque condizione, spada alla mano, fino alla morte. E dubitavano che l’eroismo dei caduti avesse un reale corrispettivo nei superstiti, che avevano ceduto le armi. Tempo dopo, anzi, un tale, alleato ateniese, chiese con crudele ironia a uno dei prigionieri dell’isola se i loro morti fossero stati davvero dei valorosi: e quello replicò che la canna – voleva significare la freccia – sarebbe un mirabile strumento se sapesse discernere i valorosi. Intendeva dire che i colpi di fionda e i dardi atterravano chiunque venisse colto.
41. Dopo che i prigionieri furono condotti ad Atene, gli Ateniesi decretarono di tenerli in carcere finché non si fosse raggiunto un accordo; ma se i Peloponnesi forzavano i tempi irrompendo in Attica, li avrebbero trascinati fuori e giustiziati. Un presidio fu stabilito a Pilo, dove i Messeni di Naupatto, tratti quasi da un sentimento di patria (poiché Pilo è situata nei confini della Messenia antica), inviarono un reparto di loro uomini, i più indicati per quel compito. Costoro si diedero a saccheggiare i paesi della Laconia e riuscivano a provocare danni gravissimi utilizzando l’identità del loro linguaggio con quello parlato dagli abitanti del luogo. Fino a quell’epoca, gli Spartani non avevano sofferto mai rapine, estorsioni o le miserie della guerriglia. Ora anche gli Iloti disertavano e Sparta viveva ore drammatiche temendo lo scoppio, nel suo stesso paese, di qualche più grave disordine insurrezionale. Difficile sopportare quell’incubo: quindi si risolsero, studiandosi di tener segreto il loro stato d’animo, ad inviare ambasciatori ad Atene tentando di riavere Pilo e i propri uomini. Ma ora le aspirazioni ateniesi si slanciavano più alte, e dopo frequenti contatti gli ambasciatori furono liquidati con un infruttuoso congedo. Così si svilupparono gli eventi di Pilo.

Scheda analitica: la commedia di Aristofane (con riferimenti ai Cavalieri)

Data di rappresentazione e concorso 
 424 
Esito della partecipazione al concorso 
  I° premio 
Contesto politico 
 Lo stratego Cleone era all’apice della sua fortuna militare (cattura di 400 Spartiati intrappolati nell’isola di Sfacteria; impresa di Pilo) e politica; aveva ottenuto grandi successi dal popolo: proedria, pasti al Pritaneo a spese della collettività. Il suo ascendente sulla popolazione era altissimo e, visti i successi militari, non aveva senso parlare di pace. Rispetto all’anno precedente le speranze di pace sono sfumate 
Struttura della commedia 
 Parti dialogate e parti liriche:
– prologo (trimetri giambici);
– parodo: ingresso del coro con parte lirica o dialogo con attori;
– agone: contesa tra due personaggi, basata su corrispondenza binaria di parti[1];
– parabasi: in una sospensione della finzione drammatica il coro, calata la maschera, affronta, passando di fronte al pubblico, argomenti di pubblico interesse; eventuali beffe all’indirizzo del pubblico in cui si può ravvisare l’ascendenza dalle falloforie e dal κῶμος; la parabasi scompare nelle commedie Ecclesiazuse e Pluto;
– episodi (trimetri giambici): scene in cui si ravvisano le conseguenze dell’attuazione del progetto al centro della commedia;
– esodo: uscita del coro e degli attori come festosa processione.
 
Schema della vicenda 
 – Di fronte ad una situazione di difficoltà o di crisi per lo più civile, un personaggio formula un progetto spesso surreale;
– realizzazione del progetto a metà commedia;
– brevi episodi illustrano le conseguenze della realizzazione del progetto;
– festa conclusiva per celebrare la realizzazione del progetto[2].
 
Rottura della finzione scenica 
 Frequentemente gli attori si rivolgono al pubblico coinvolgendolo nel giudizio da dare sulle vicende che avvengono sulla scena e, indirettamente, su quelle che si verificano nella città[3]. Il pubblico così sta esercitando a teatro lo stesso ruolo che esercita nelle assemblee cittadine. 
Prolungamento della scena all’interno
 //
Metateatro
 La riflessione sulla poesia e sul teatro appare in varie opere, diventando tematica nelle Rane [4].
Ambientazione
 Spesso alle consuete ambientazioni domestiche e cittadine[5] si contrappongono spazi aperti e surreali.
Personaggi: tipologia e rappresentazione
 Personaggi di estrazione contadina; uomini, ma spesso anche donne. Spesso compare un protagonista “eroe”, operatore della risoluzione della crisi iniziale[6].
 I personaggi hanno un’impostazione realistica, ma presentano spesso tratti paradossali; alcuni rimandano a personaggi storici[7]. Compaiono anche personaggi frutto di fantasia o personificazioni di concetti astratti[8].
 L’analisi psicologica dei personaggi è pressoché assente. Non compaiono “caratteri”, ma per così dire dei “tipi”, accentuati come caricature. Se i personaggi cambiano (cosa che di solito si accompagna alla delineazione di un carattere) avviene non per graduale e naturale trasformazione psicologica, ma in modo repentino e immotivato per esigenze drammatiche[9].
Coro
 Il coro, costituito da 24 elementi, spesso teriomorfo – a testimonianza del carattere agreste delle forme popolari originarie, assume un ruolo determinante, a livello sia di quantità di presenza, sia di qualità. Ad esso è affidata in particolare la parabasi che tematicamente svolge i temi fondamentali della vita cittadina assumendo una posizione di equilibrio[10].  
In Ecclesiazuse e in Pluto si assiste ad un ridimensionamento del ruolo del coro; talora il testo del canto del coro è sostituito dalla sigla χοροῦ, solo ad indicare che in quel momento era previsto un intervallo corale, non meglio precisato dall’autore, ma affidato a impresari e compagnia.
Riferimento a realtà politica
 Continui ed espliciti riferimenti alla realtà politica interna ed estera di Atene, spesso con forte carattere satirico[11].
Riferimento a realtà sociale
 Continui ed espliciti riferimenti alla realtà nelle sue dinamiche sociali, evidenziandone i limiti e i difetti[12].
In Ecclesiazuse e in Pluto i riferimenti sociali e politici si fanno da specifici a generici, toccando i temi della condivisione dei beni e del contrasto tra ricchezza e povertà.
Bersagli
 Demagoghi[13], ciarlatani, politici corrotti, cattivi poeti (Euripide); talora anche divinità (Eracle nelle Rane, Hermes nel Pluto). Tali bersagli in Ecclesiazuse e in Pluto sfumano.
Tematiche
 Vita politica (guerra, pace, democrazia, demagogia); conflitti sociali (giustizia, divario e contrasto uomo/donna, ricchezza/povertà); cultura (educazione, letteratura).
Rapporto realtà/fantasia
 Accanto al costante riferimento alla realtà individuale e collettiva, per lo più corrotta, si prospetta la fuga in mondi surreali e utopistici con sviluppi totalmente fantastici[14].
Finalità e intenti
 Divertimento e nel contempo educazione sono gli intenti dell’opera di Aristofane; di fronte a decadenza della città, l’autore è mosso da un intento educativo nei confronti del popolo per incidere sulla società e migliorarla.
Tipologia di comicità
 Comicità irresistibile, che non si attiene alla verosimiglianza, ma prospetta situazioni paradossali.
Comicità di parola
 Linguaggio pirotecnico e salace:
– giochi di parole e confusione di termini[15]
– storpiature di termini, scioglilingua
– parole inesistenti che imitano lingue straniere
– accumuli di parole ed enumerazioni
– composizione di parole
– onomatopea.
Scurrilità, aiscrologia [16].
Ricorso ad assurdo, che si avvicina all’humor di tipo anglosassone.
Comicità di situazione
 Riferimento frequente a cibo[17], a sesso, a funzioni corporali[18] e a escrementi[19].
Situazioni tipiche divertenti[20]: bastonature, litigi[21], zuffe.
Parodia
 Utilizzo frequente della parodia ad es. nei confronti di Euripide e di uomini politici generici o specifici[22] (Cleone).
Lingua e stile
 Molte delle caratteristiche del lessico e dello stile sono anche funzionali a produrre effetti comici:
– storpiature di termini,
– introduzioni di nuove parole composte
– onomatopea
– accumuli di parole ed enumerazioni
– inserimento di parole o espressioni altisonanti e auliche in contesti banali.
Accanto a toni bassi, ci sono anche momenti di alto lirismo, non semplicemente parodistici del linguaggio tragico ed epico.

4. La commedia di mezzo e la commedia nuova. Menandro

Scheda analitica:le innovazioni letterarie di Menandro

Data di rappresentazione e concorso
Esito della partecipazione al concorso
Contesto politico
Struttura della commedia[23]
 Prologo di stampo euripideo, necessario per illustrare le situazioni intricate talora con anticipazione delle vicende. Spesso il prologo è posticipato ad una breve scenetta come in Aristofane prima[24] e in Plauto poi;
– divisione in 5 atti[25];
– mancanza della parabasi;
– mancanza di altri interventi del coro.
Schema della vicenda
 Commedia di intreccio con vicende non grandiose o bizzarre, ma ordinarie e quotidiane:
– inizio intricato, solitamente riguardante una coppia di innamorati;
– complicazioni durante il corso delle vicende per effetto della Tyche o del carattere di un personaggio;
– scioglimento dell’intrigo con ritrovamenti, riconoscimenti[26];
– risoluzione consolatoria e appagante per il pubblico: matrimoni, festa, ecc.
Alcune commedie presentano un maggior movimento (ultima parte del Dyskolos), altre più ethos e maggiore caratterizzazione dei personaggi.
Rottura della finzione scenica
 – Apostrofi al pubblico (interpellato come ἄνδρες) soprattutto all’ingresso dei personaggi per coinvolgerlo;
– battute a parte come glosse per spettatore, usato per collegare scene.
Prolungamento della scena all’interno
 Prolungamento della scena verso l’interno: un personaggio esce da una casa e continua a parlare con chi è in casa.
Metateatro
 //
Ambientazione
 Ambientazione sociale piccolo-borghese.
Personaggi: tipologia e rappresentazione
 Personaggi della piccola borghesia cittadina e campagnola. Alcune astrazioni personificate come Tyche, Agnoia soprattutto nei prologhi. Si tratta per lo più personaggi positivi e sensibili[27].
Quanto alla modalità di rappresentazione:
– permangono “tipi” ereditati dai predecessori (cuoco, parassita, soldato, etera, ecc.) caratterizzati da maschere accurate ed individuate da nomi ricorrenti;
– alcuni personaggi diventano dei “caratteri”   
.   distinti da tratti individuali e spesso in evoluzione;   
.   analizzati e descritti con acutezza nei loro sentimenti e nei loro dubbi.
Comunque sono presentati come personaggi “normali”, in cui gli spettatori possono identificarsi.
Coro
 Assenza del coro come personaggio che rappresenta tutta la comunità cittadina.
Ci dovevano essere interventi di un coro tra gli atti
– segnalati dalla sigla χοροῦ; 
– introdotti da un attore;
– senza l’indicazione di un testo specifico, integrato nello sviluppo narrativo;  
– accompagnati da auli.
Riferimento a realtà politica
 Disinteresse per dimensione politica, ma interesse per dimensione individualistica e privata.
Riferimento a realtà sociale
 Rappresentazione di mondo borghese ateniese
–  legato alle convenzioni, insidiate dalla libertà delle etere e anche dei soldati;
– attento al denaro e alla proprietà, preoccupato da problemi economici dell’epoca.
Tuttavia, i personaggi non sono eroi che si oppongono all’ordine costituito con arditi tentativi per cambiare il mondo.
Bersagli
 //
Rapporto realtà/fantasia
 Mondo reale, non inventato.
Tematiche
 Diventano tematiche le relazioni e i rapporti interpersonali e i sentimenti dell’uomo comune, nella sua dimensione quotidiana.
Particolare centralità dell’amore, motore di vicende e di introspezione nella dimensione sentimentale e non sessuale. Arbitrio del caso e della fortuna.
Finalità e intenti
 Commedia di
– evasione dalle problematiche economiche-sociali;
– promozione di riflessione su tematiche di ordine morale.
Tipologia di comicità
 Comicità garbata che non muove al riso, ma al sorriso bonario e malinconico.
Comicità di parola
 Linguaggio quasi totalmente castigato, con
– pochi termini o allusioni sboccate;
– pochi giochi di parola o metafore spiritose;
– rare storpiature di termini.
Comicità di situazione
 – Poche scene burlonesche;
– qualche battibecco animato.
Parodia
 //
Lingua e stile
 Scelte linguistiche e metriche di valore:
– lingua attica ricca e non purista; preannuncia la koinè;
– lingua armoniosa, senza eccessi, senza preziosismi, armonizzata sul tono medio;
– dialoghi in trimetri giambici con varietà di soluzioni e di pause per avvicinarsi al parlato; in momenti di maggior concitazione tetrametri trocaici.
Stile naturale, ricco di sfumature adeguate all’età e alla condizione dei personaggi.

5.  Origini e sviluppo del teatro comico in Roma

Materiale

Livio, Ab urbe condita VII, 2
La nascita del teatro a Roma

[2] Et hoc et insequenti anno C. Sulpicio Petico C. Licinio Stolone consulibus pestilentia fuit. Eo nihil dignum memoria actum, nisi quod pacis deum exposcendae causa tertio tum post conditam urbem lectisternium fuit. Et cum vis morbi nec humanis consiliis nec ope divina levaretur, victis superstitione animis ludi quoque scenici, nova res bellicoso populo ­– nam circi modo spectaculum fuerat – inter alia caelestis irae placamina instituti dicuntur; ceterum parva quoque, ut ferme principia omnia, et ea ipsa peregrina res fuit. Sine carmine ullo, sine imitandorum carminum actu ludiones ex Etruria acciti, ad tibicinis modos saltantes, haud indecoros motus more Tusco dabant. Imitari deinde eos iuventus, simul inconditis inter se iocularia fundentes versibus, coepere; nec absoni a voce motus erant. Accepta itaque res saepiusque usurpando excitata. Vernaculis artificibus, quia ister Tusco verbo ludio vocabatur, nomen histrionibus inditum; qui non, sicut ante, Fescennino versu similem incompositum temere ac rudem alternis iaciebant sed impletas modis saturas descripto iam ad tibicinem cantu motuque congruenti peragebant.
Livius post aliquot annis, qui ab saturis ausus est primus argumento fabulam serere, idem scilicet – id quod omnes tum erant – suorum carminum actor, dicitur, cum saepius revocatus vocem obtudisset, venia petita puerum ad canendum ante tibicinem cum statuisset, canticum egisse aliquanto magis vigente motu quia nihil vocis usus impediebat. Inde ad manum cantari histrionibus coeptum diverbiaque tantum ipsorum voci relicta. Postquam lege hac fabularum ab risu ac soluto ioco res avocabatur et ludus in artem paulatim verterat, iuventus histrionibus fabellarum actu relicto ipsa inter se more antiquo ridicula intexta versibus iactitare coepit; unde exorta quae exodia postea appellata consertaque fabellis potissimum Atellanis sunt; quod genus ludorum ab Oscis acceptum tenuit iuventus nec ab histrionibus pollui passa est; eo institutum manet, ut actores Atellanarum nec tribu moveantur et stipendia, tamquam expertes artis ludicrae, faciant. Inter aliarum parva principia rerum ludorum quoque prima origo ponenda visa est, ut appareret quam ab sano initio res in hanc vix opulentis regnis tolerabilem insaniam venerit.

Quell’anno e il seguente, in cui furono consoli Caio Sulpicio Petico e Caio Licinio Stolone, durò la pestilenza. Nulla perciò fu fatto che sia degno di ricordo, se non che, per implorare il favore degli dèi, si celebrò allora per la terza volta dopo la fondazione dell’Urbe un lettisternio; e poiché la violenza dell’epidemia non diminuiva né per umani provvedimenti né per aiuto divino, caduti gli animi in preda alla superstizione, si dice che tra gli altri mezzi per placare l’ira dei celesti s’istituirono anche i ludi scenici – una novità per quel popolo bellicoso, ché fin allora l’unico spettacolo era stato quello del Circo – ; del resto fu anche una novità di non grande importanza, come quasi tutte le cose all’inizio, e per giunta straniera. Senza canto alcuno, senza gesti atti a contraffare il canto, dei ballerini fatti venire dall’Etruria, danzando al suono del flauto, eseguivano aggraziati movimenti alla moda etrusca.
Cominciarono poi i giovani a imitarli, scambiandosi nello stesso tempo motteggi in rozzi versi, e i movimenti s’accordavano con la voce. Pertanto, la novità fu accolta e s’andò sempre più affermando con l’uso.
Agli artisti indigeni, poiché il ballerino era chiamato con parola etrusca ister, fu dato il nome di istrioni; e questi non si scambiavano, come in passato, versi rozzamente improvvisati e grossolani sul tipo del Fescennino, ma rappresentavano satire ricche di melodie, con un canto ormai regolato sul suono del flauto e con movimenti armonizzati.
Alquanti anni dopo Livio, che per primo osò, prendendo le mosse dalle satire, elaborare un dramma a soggetto, e che fu anche naturalmente – ché allora tutti lo erano – attore delle sue composizioni, siccome gli si era arrochita la voce per i troppi bis che gli erano stati richiesti, a quanto si dice, chiestane licenza, pose davanti al flautista un giovinetto perché cantasse, e recitò la propria parte con movimento assai più vivace, perché non era punto impedito dalla necessità d’impiegare la voce. Si cominciò quindi a cantare accompagnando i gesti degli istrioni, e alla voce di questi ultimi si lasciarono soltanto i dialoghi. Ma poiché con questo sistema di rappresentazione ci si allontanava dal riso dal libero motteggio, e il divertimento s’era a poco a poco trasformato in arte, la gioventù, lasciata agli istrioni la recitazione dei componimenti drammatici, riprese secondo l’uso antico a scambiarsi buffonate espresse in versi: di qui quelli che in seguito furono chiamati esòdi e che vennero abbinati soprattutto alle Atellane un genere di spettacolo appreso dagli Osci, che la gioventù custodi gelosamente senza permettere che fosse profanato dagli istrioni; perciò rimane l’uso che gli attori delle Atellane non possano essere rimossi dalla loro tribù, e compiano il servizio militare come se fossero estranei all’arte drammatica. Tra gli umili inizi di altre istituzioni mi è sembrato di dover citare anche la prima origine delle rappresentazioni teatrali, perché si potesse veder chiaramente da quanto sobri principi si sia giunti agli attuali eccessi, appena ammissibili in fastosi regni. (Trad. di M. Scandola, Rizzoli)

6.  La commedia plautina

Scheda analitica: la commedia di Plauto

Data di rappresentazione
Contesto politico
Struttura della commedia
 Composizione unitaria in cui la parte musicale è parte integrante e fissa della commedia in cui si individuano:
– prologo: illustra l’antefatto o sollecita la curiosità degli spettatori[28];
diverbia: parti recitate, di grande ariosità;
cantica: ampie parti cantate da singoli o da più voci con varietà di metri in corrispondenza a significato; accompagnate da flauto e occasionalmente da danza. Aprono o chiudono le parti dialogate e le azioni principali[29].
Schema della vicenda
 Strutturata in tre momenti: esposizione, allacciamento del nodo, scioglimento del nodo.
Diverse tipologie di commedia a seconda del ruolo più o meno preponderante dell’intrigo:
– commedie di intrigo (Asinaria, Casina, Bacchides, Epidicus, Miles, Mostellaria, Persa, Poenulus, Pseudolus, Truculentus), anche con due intrighi di cui il secondo è uno sviluppo del primo;
– semplice farsa: Asinaria;
– commedia di carattere: Aulularia, Cistellaria;
– senza intrigo: Stichus (vicina a modello menandreo);  
– commedia di idee: Captivi [ 30];
– tragicommedia: Amphitruo.
Rottura della finzione scenica
 Frequenti interruzioni da parte dell’autore dell’illusione scenica in particolare nel prologo:
– interpella il pubblico coinvolgendolo nell’azione o nella rappresentazione[31];
– fornisce ragguagli circa la realtà greca in cui è ambientata vicenda.
L’illusione non è curata, viene infranta e viene sottolineato il carattere di recita della rappresentazione. La musica stilizzata sottolinea il contrasto con illusione scenica.
Prolungamenti della scena nel retroscena
 Prolungamenti della scena nel retroscena amplificati da Plauto e lasciati alla fantasia dello spettatore.
Metateatro
 L’autore parla di sé e della sua attività quando:
– definisce il genere della sua produzione (Amph. 50-63 su tragicommedia);
– presenta la sua attività di poeta e facitore di intrighi attraverso la figura di Pseudolo;
– utilizza la metafora dell’architetto per il poeta e della casa per la poesia;
– inserisce espressioni come Plautus voluit o noluit con riferimento alle azioni dei personaggi (Cas. 65).
Si riferisce all’attività del poeta come vertere/vortere barbare intesa come un adattamento ad un ambiente non greco degli originali, consapevole della distanza tra i due mondi.
Ambientazione
 Mondo greco
Personaggi: tipologia e rappresentazione
 Normalmente esseri umani, ma in Amphitruo anche divinità.
Diverse tipologie di personaggi:
– i personaggi sono presentati come tipi tratti da modelli greci, senza caratterizzazione individuale, talora caricaturati: vecchio avaro, cuoco, parassita, giovane innamorato, mezzano, ecc.;
– le figure dei servi e dei padroni in particolare sono elaborate in molteplici varianti;
– caratteri appaiono in alcune commedie: Aulularia [32], Cistellaria.
Coro
 Manca ogni indicazione di interruzioni con intervento di un intervento corale, comune nelle commedie menandree (Χοροῦ).
Maschere
 5 attori inizialmente senza la maschera che viene introdotta dall’attore Roscio (I a.C.).
Riferimento a realtà politica
 Pur nell’ambientazione nel mondo greco si ravvisano alcuni riferimenti ad avvenimenti o vicende del mondo romano[33]. Non si ravvisano specifiche critiche ai potenti; semmai critiche generiche alla corruzione (Trin.1033) o alla troppa frequenza dei trionfi (Bacc. 1072-75).
Riferimento a realtà sociale
 Precisi, anche se non frequenti, riferimenti a mondo romano contemporaneo (monete, topografia romana[34]) e ai suoi valori (autorità paterna, mos maiorum, fedeltà coniugale, pax deorum, valore dell’exemplum, ecc.).
Bersagli
 Bersagli non specificatamente individuati, ma generici: gli avari, i parassiti, i corrotti, gli intellettuali greci, gli accesi militaristi, ecc.
Rapporto realtà/fantasia
 //
Tematiche
 Le medesime degli originali greci della Commedia Nuova.
Finalità e intenti
 Per lo più si tratta di commedia di evasione; ma in qualche caso anche di spunto alla riflessione su tematiche di ordine morale e sociale (Captivi) per fornire uno stimolo intellettuale e filosofico.
Tipologia di comicità
 – Per lo più comicità esteriore e grassa simile a forme popolari di Atellana e di Fescennini;
– talora si sfiora il grottesco (Aulularia);
– in alcuni casi comicità più sottile, vicina ad ironia (Captivi, Maenecmi, Stichus).
Comicità di parola
 Grande peso degli effetti comici verbali anche in un teatro d’azione:
– giochi di suoni e di parola;
– parole d’insulto;
– doppi sensi;
– neologismi o storpiature di parole;
– metafore ardite («mio padre è una mosca, nulla gli rimane nascosto» (Merc. 361) e fraintendimento di metafore per interpretazione letterale (Amph. 325 ss.).
Comicità di situazione
 – Frizzi;
– equivoci, scambi di persona;
– personificazione dell’inanimato;
– litigi, con brevi battute serrate;
– situazioni con spunti di assurdo.
Parodia
 Parodia di linguaggio
– poetico di Ennio e Nevio;
– militare;
– amministrativo delle iscrizioni ufficiali.
Lingua e stile
 Utilizzo di latino chiaro ed elegante, ricco e vario.
Linguaggio con notevoli differenze stilistiche:
– tono vicino alla lingua parlata di persone colte nei recitativi(deverbia);
– elementi derivati da oralità di marchio italico popolare nei cantica.
Si evidenziano numerose creazioni linguistiche[35], con verbi di forte espressività.  
Utilizza una varietà di metri di cui alcuni ereditati, altri variati o innovati.  

Stile:
– Utilizzo di parole chiavi ricorrenti in collocazioni significative, legate al mondo romano: mores (Trinummus), fides (Aulularia), exemplum (Mostellaria);
– ricchezza di metafore anche continuative(Bacch. 925-78) e di immagini[36];
– diversità di toni: talora innalzamento retorico-lirico dello stile (Rud. 204-19; Amphitruo, Captivi, Trinummus).

7.  La commedia di Terenzio

Materiale

Svetonio, De poetis. La vita di Terenzio (3-5)

3.Non obscura fama est adiutum Terentium in scriptis a Laelio et Scipione, eamque ipse auxit numquam nisi leviter refutare conatus, ut in prologo Adelphorum:
«Nam quod isti dicunt malevoli, homines nobiles
Hunc adiutare assidueque una scribere;
Quod illi maledictum vehemens esse existumant,
Eam laudem hic ducit maxumam, quom illis placet.
Qui vobis univorsis et populo placent,
Quorum opera in bello, in otio, in negotio
Suo quisque tempore usus est sine superbia.»

Videtur autem se levius defendisse, quia sciebat et Laelio et Scipioni non ingratam esse hanc opinionem; quae tamen magis et usque ad posteriora tempora valuit. C. Memmius in Oratione pro se ait: « P. Africanus, qui a Terentio personam mutuatus, quae domi luserat ipse, nomine illius in scenam detulit».
Nepos auctore certo comperisse se ait, C. Laelium quondam in Puteolano Kal. Martiis admonitum ab uxore temperius ut discumberet petisse ab ea ne interpellaret, seroque tandem ingressum triclinium dixisse, non saepe in scribendo magis sibi successisse; deinde rogatum ut scripta illa proferret pronuntiasse versus qui sunt in Heautontimorumeno: «Satis pol proterve me Syri promissa huc induxerunt».
4. Santra Terentium existimat, si modo in scribendo adiutoribus indiguerit, non tam Scipione et Laelio uti potuisse, qui tunc adulescentuli fuerunt, quam C. Sulpicio Gallo, homine docto et cuius consularibus ludis initium fabularum dandarum fecerit, vel Q. Fabio Labeone et M. Popillio, consulari utroque ac poeta; ideo ipsum non iuvenes designare qui se adiuvare dicantur, sed viros «quorum operam et in bello et in otio et in negotio» populus sit expertus.
Post editas comoedias nondum quintum atque vicesimum egressus annum, causa vitandae opinionis qua videbatur aliena pro suis edere, seu percipiendi Graecorum instituta moresque, quos non perinde exprimeret in scriptis egressus est neque amplius rediit. De morte eius Vulcacius sic tradit:
«Sed ut Afer populo sex dedit comoedias,
Iter hinc in Asiam fecit, et navem ut semel
Conscendit, visus numquam est; sic vita vacat».
5. Q. Cosconius redeuntem e Graecia perisse in mari dicit cum C. et VIII. fabulis conversis a Menandro.

Un insistente pettegolezzo sostiene che Terenzio fosse aiutato nei suoi scritti da Lelio e Scipione, pettegolezzo ch’egli contribuì ad alimentare, limitandosi a qualche timida smentita, come nel prologo degli Adelphoe [vv. 50- 56]:
«Ciò che codeste serpi affermano, ritenendola una stroncatura senza scampo – ovvero che ci sono dei nobili che collaborano abitualmente col poeta e compongono insieme con lui – il poeta lo ritiene invece la più grande delle lodi, dal momento ch’egli gode del favore di coloro che sono nel cuore di voi tutti e del popolo, e che del loro operato ciascuno si è avvalso in guerra, in pace, in affari al momento opportuno e senza (dover subire) arroganza».
Il suo eludere è evidentemente dovuto alla consapevolezza che tale pettegolezzo – accresciutosi col tempo fino a sopravvivere nella posterità – lusingava sia Lelio che Scipione. Quinto Memmio, nell’Orazione in difesa di se stesso, così esclama: «Publio Scipione Africano, usando Terenzio come prestanome, mandò in scena opere che aveva scritto, per diletto, di proprio pugno, al chiuso delle pareti domestiche».
Nepote riferisce d’aver appreso, da fonte certa, il seguente aneddoto, ambientato nella villa di Pozzuoli il 1° marzo di un anno non precisato: Caio Lelio, sollecitato dalla moglie a non presentarsi troppo tardi per il pranzo, le chiese il piacere di non essere interrotto; più tardi, accomodatosi finalmente sul triclinio, confessò d’esser stato preso, nello scrivere, da un’ispirazione quanto mai copiosa e felice; al che, pregato di declamare tale capolavoro, recitò alcuni versi che si trovano nell’Heautontimorumenos [Il punitore di se stesso; v. 723 e sgg.]: «Le promesse di quello sciagurato di Siro m’han spinto a venire fin qui […]».
Santra ritiene che Terenzio – se proprio s’avvalse dell’aiuto di altri nel comporre le proprie commedie – non poté tanto avvalersi di Scipione e Lelio, all’epoca dei ragazzini, quanto piuttosto di Caio Sulpicio Gallo, uomo acculturato – sotto il cui consolato, durante i Ludi, (Terenzio) aveva cominciato a far teatro – o di Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio, entrambi ex-consoli e poeti; ecco perché Terenzio aveva alluso non a giovani di cui si dicesse che l’avessero aiutato, ma a personaggi d’un certo rango ‘il cui operato’ il popolo aveva potuto constatare ‘in guerra, in pace, in affari’.
Una volta pubblicate le commedie, non ancora venticinquenne, vuoi per schivare la nomea di prestanome, vuoi per osservare più da vicino le istituzioni ed i costumi dei Greci, in modo da ritrarli con maggior fedeltà nei suoi scritti, Terenzio se ne partì, senza far più ritorno. Così si esprime Volcacio (Sedìgito) sulla sua morte: «partì alla volta dell’Asia (Minore); una volta imbarcatosi, fece perdere ogni traccia di sé».
Secondo Quinto Cosconio, Terenzio sarebbe morto in mare, (naufragando) con 10824 commedie che aveva tradotto da Menandro; secondo altri, sarebbe morto nell’arcadica Stinfalo, oppure a Leucade, sotto il consolato di Gneo Cornelio Dolabella e Marco Fulvio Nubiliore, o per malattia o per il forte rammarico d’aver perduto il bagaglio, che aveva spedito innanzi per nave, e con esso le nuove commedie che aveva appena finito di scrivere.

Scheda analitica: la commedia di Terenzio

Struttura della commedia
 – Prologo metateatrale;
– scena introduttiva all’azione (esposizione) ad opera di personaggio propositivo (πρὀσωπον προτατικόν) o di un dialogo;
deverbia
– monologhi, brevi, ma frequenti legati all’azione
cantica (in numero decrescente), poco variati metricamente
Nessuna interruzione lirica.
Schema della vicenda
 Commedie di intrigo con intreccio o doppio intreccio (in cui Terenzio è maestro), inganni, riconoscimenti; ma tra esse compaiono anche:
Hecyra (165): commedia pacata;
Heautontimorumenos (163): commedia di carattere;
Adelphoe (160) senza intrigo, ma essenzialmente commedia che presenta problematiche e riflessione.
Per l’nsuccesso di Hecyra si assiste ad un incremento di scene di tipo plautino in Adelphoe.  
Non solo azioni rappresentate, ma anche commentate (Andria) grazie all’introduzione del personaggio di Carino.
Rottura della finzione scenica
 I prologhi sono occasione di contatto con il pubblico e lo rendono intimamente implicato.
Le interruzioni di finzione scenica sono tuttavia meno frequenti rispetto a Plauto.
Prolungamenti della scena nel retroscena
 //
Metateatro
 I prologhi diventano strumento di propaganda dei propri mezzi di rielaborazione e di riflessione letteraria, paragonabili alla parabasi di Aristofane per la rottura della finzione scenica e per i legami con l’attualità.
Ambientazione 
 Ambientazione greca con rispetto della realtà, più di Menandro e Plauto.
Personaggi: tipologia e rappresentazione 
 Personaggi usuali di Commedia Nuova, ma guardati con occhi particolare:
– partecipazione e simpatia per esponenti di buona società, uomini capaci di ravvedersi;
– critica e ironia per i furbi, i presunti saggi;
– minimizzazione del ruolo del servo nell’intrigo.
Alcuni personaggi nuovi rispetto agli originali sono introdotti per commentare scene (personaggio di Carino in Andria) o introdurre l’esposizione (πρόσωπον προτατικόν).
In genere, rispetto alla commedia ellenistica, i personaggi creano la loro storia, con una minor implicazione del caso.
 In genere l’autore opera una fine caratterizzazione, valorizzata da Varrone (Hecyra, Heautontim.), rafforzata dalla contrapposizione con altri personaggi[2], da cambiamenti e da un’evoluzione; talora si registra uno scambio di ruoli inaspettato (lo sciocco si rivela furbo e viceversa). Talora alcuni personaggi convenzionali e a tratti caricaturati.
Coro
 Assente
Riferimento a realtà politica
 Assente
Riferimento a realtà sociale
 In genere mancano riferimenti eclatanti alle vicende romane, però vengono anche tralasciati elementi tipicamente greci, estranei al popolo romano;
Terenzio inserisce modi di sentire propri dei romani (es. rapporto del liberto con il patrono) e affronta questioni proprie della sua epoca quali il conflitto generazionale tra padre-figlio e il tema dell’educazione[3].
Rapporto realtà/fantasia
 Forte attenzione alla verosimiglianza, più di Menandro e di Plauto, senza incursioni nel fantastico, ma anche senza scadere nella piatta banalità.
Bersagli
 Non individui specifici, ma alcune categorie: furbi, presunti sapienti, arroganti.
Tematiche
 Tematiche proprie della Commedia Nuova, con attenzione particolare al conflitto tra padre e figlio e in genere tra generazioni e al tema dell’educazione, temi propri della sua epoca.
Finalità e intenti
 Non semplice intrattenimento, ma spunto di riflessione: lo testimonia anche la scelta come modelli delle commedie più riflessive tra gli originali greci.
Tipologia di comicità
 Terenzio
– rispetto a Menandro: accentua spunti ed effetti comici, riducendo elemento sentenzioso;
– rispetto a Plauto: sostituisce l’ironia alle battute pesanti, sempre attento al decorum proprio della romanità.
Comicità di parola
 Evita insulti, nomi di animali, battute sessuali.
Comicità di situazione
 Alcune scene concitate.
Parodia
 Assente
Lingua e stile
 Terenzio per un linguaggio aristocratico
– cerca lessico e strutture scelte, aggraziate, controllate;
– limita i neologismi.  
Opera costruzioni complesse, ma sempre unitarie.  

Varietà di stile a seconda delle parti della commedia:
– retorico nei prologhi scritti come arringhe difensive;
– lineare nei resoconti espositivi;
– adeguato alla classe sociale dei personaggi nei dialoghi.
In genere
– più retorico di Menandro;
– meno retorico e meno poetico di Plauto.
Sempre teso all’unità stilistica, anche stemperando toni di rudezza negli originali.   Versificazione dai metri numericamente ridotti, ma adeguati ai diversi momenti dell’azione e adatti alle svolte degli intrecci, all’insegna della naturalezza. Per questi tratti venne valorizzato nella sua capacità poetica ed ebbe diffusione come autore scolastico.

Lo attesta la valorizzazione di Orazio (Ars poetica 55-63): «Ambigitur quotiens uter utro sit prior, aufert / Pacuuius docti famam senis, Accius alti, / dicitur Afrani toga conuenisse Menandro, / Plautus ad exemplar Siculi properare Epicharmi,/ uincere Caecilius grauitate, Terentius arte. / Hos ediscit et hos arto stipata theatro/ spectat Roma potens; habet hos numeratque poetas / ad nostrum tempus Liui scriptoris ab aeuo./Interdum uolgus rectum uidet, est ubi peccat».

[1]      Nei Cavalieri la struttura è in parte diversa: l’agone assume un ruolo preponderante visto che tutta la commedia verte sul confronto polemico tra Paflagone e il Salsicciaio, contrapposti, ma in realtà della stessa “pasta”; il contrasto si riapre più volte (prima di fronte al Coro – 234 ss.-; e poi di fronte a Demo – 725 ss.-, anche con la presentazione dei vaticini -995 ss. – e delle ceste -1210 ss.-), fino alla vittoria finale (1248). Qui mancano, inoltre, le scene episodiche (forse sostituite dalle situazioni immaginate dagli oracoli), ma la commedia procede più lineare, senza digressioni.

[2]      Nei Cavalieri i due servi di Demo, di fronte al comportamento ipocrita e adulatorio del servo Paflagone, che richiama la figura del demagogo Cleone, gli contrappongono come antagonista un Salsicciaio, ancora più immorale del precedente. Questi, attraverso il sostegno del coro dei Cavalieri e attraverso discorsi di bassa demagogia, risulta vincitore su Paflagone, che diventa a sua volta salsicciaio. Salsicciaio, trasformato per una metamorfosi positiva nel civile e stimato Agoracrito, ridona a Demo la giovinezza e gli presenta la fanciulla Tregua, con cui Demo ringiovanito si sposerà e che gli ridà benessere e equilibrio. Nei Cavalieri la positività finale appare immotivata e inspiegabile, surreale, così come in altre commedie l’attuazione del progetto risolutivo.

[3]      Nei Cavalieri: 36; 1210; 1320.

[4]       Nei Cavalieri si tratteggia la storia della commedia (507 ss.).

[5]      Nei Cavalieri la vicenda è ambientata nella casa di Demo, padrone dei servi Paflagone, Demostene e Nicia.

[6]       Nei Cavalieri manca un protagonista, un eroe portatore di valori postivi, ma i due personaggi più rilevanti sono entrambi negativi.

[7]       Nei Cavalieri i due servi rappresentano gli strateghi Nicia e Demostene, mentre il servo Paflagone richiama la figura di Cleone.

[8]      Nei Cavalieri il personaggio Demo personifica il popolo ateniese e la fanciulla, Tregua, che va in sposa a Demo, la tregua auspicata.

[9]      Nei Cavalieri Demo e il Salsicciaio cambiano in modo immotivato nella parte finale per introdurre una ventata di speranza per gli spettatori-cittadini.

[10]     Nei Cavalieri il coro rappresenta i cavalieri, cittadini per bene che odiano Cleone (225) e lo accusano ripetutamente di aver dilapidato il denaro pubblico, di aver maltrattato i magistrati e di essersi approfittato dei contadini (260 ss)

[11]     Nei Cavalieri ogni elemento della narrazione ha il suo corrispondente nella realtà: la casa di Demo è nella realtà Atene, Demo è il popolo, i servi Demostene e Nicia sono gli strateghi storici dallo stesso nome, i Cavalieri rappresentano il gruppo sociale degli uomini dabbene della città, Paflagone il demagogo Cleone e il Salsicciaio uno qualsiasi dei possibili demagoghi cittadini.
Gli eventi storici non creano uno sfondo sfuocato, ma sono chiaramente presenti e fatti oggetto di riferimento: le aspirazioni di Cilone alla tirannide nel 632 e alle guardie del corpo di Pisistrato (446); la figura dei demagoghi e loro ruolo deleterio per democrazia ateniese (180 ss.); la corruzione della politica in Atene (213 ss.); la ribellione dei Calcidesi del 445 (237); la vittoria strappata da Cleone a Nicia presso Pilo (55; 394; 845-850); la defezione e la resa di Potidea (438); il tentativo di occupazione di Corinto da parte di Nicia con le fallite trattative con Argo e lo scontro con le forze nemiche a Soligea (595); il paragone di Paflagone/Cleone con la figura di Temistocle (810; 885; 1040); l’ambigua politica di Cleone nei confronti di Lesbo e del suo passaggio nel 428 dall’alleanza con Atene all’alleanza con Sparta (834); i rapporti tra Cleone e la Cirenaica (895); la proedria e il vitto nel Pritaneo concessi a Cleone (702; 709; 766; 1404).

[12]     Nei Cavalieri: aumento della paga da 2 a 3 oboli per i giudici popolari (50; 255); critica ai bottegai (297); critica alla cattiva educazione contemporanea (332); critica ai sicofanti e ai corrotti (525); condizioni di povertà durante la guerra (795; cfr. Tuc., II 17;52) e alto costo delle imposte di guerra (920); intervento di Paflagone/Cleone sulle “checche” (875-80); onerosità della tierarchia (912).

[13]     Nei Cavalieri critica a Cleone nelle vesti di Paflagone: conciapelle, capace di rimbambire Demo, (40-50; 60); analoghe critiche al Salsicciaio adatto alla demagogia per le sue caratteristiche negative (170 ss.).

[14]     Nei Cavalieri: la fantasia entra prorompente nella parte dedicata alla lettura degli oracoli in base alla quale Demo si affida a Salsicciaio (99 ss.).

[15]     Nei Cavalieri: 20-26; 79; 1060; 1083.

[16]     Nei Cavalieri: 160 ss., 365-80.

[17]     Nei Cavalieri appare vincente l’estremo tentativo di accattivarsi il favore del Demo mediante offerta di cibo (1100 ss.; 1160 ss.).

[18]     Nei Cavalieri i demagoghi si dichiarano pronti a soffiare il naso a Demo (910).

[19]     Nei Cavalieri: 895 ss..

[20]     Nella Pace (66) si vanta di non aver usato degli espedienti comici tipici di forme popolari se non efficaci.

[21]     Nei Cavalieri: litigio continuo e intenso prima verbale e poi anche fisico tra Coro, Paflagone e Salsicciaio (234-481); gara di corsa tra Paflagone e Salsicciaio (1160 ss.).

[22]     Nei Cavalieri parodia degli strateghi (Nicia e Demostene) e dei demagoghi, specificatamente Cleone, ma anche tutti gli altri, rappresentati dal Salsicciaio che giunge alla satira pungente.

[23]     Plutarco riporta che Menandro creava anticipatamente la struttura della commedia, per poi riempirla dei versi (De gloria Athen.  347).

[24]     Nei Cavalieri dopo il dialogo tra i due servi segue una narrazione ordinata per il pubblico (36 ss.).

[25]     Per Lesky questa divisione è certa solo per gli Epitrepontes.

[26]     Elementi già dell’ultimo Aristofane e di Euripide.

[27]     Un maggior pessimismo è presente nelle massime.

[28]     Il prologo ricalca lo stampo euripideo e menandreo; si trova all’inizio o dopo una prima scena dialogata; è recitato da un personaggio per lo più umano, talora divino per giustificare omniscienza (Cist., Aul.), talora un personaggio allegorico o la personificazione del Prologo stesso. I prologhi sono suscettibili di ampliamento e modifica nel corso delle rappresentazioni. Cinque commedie sono senza prologo; nove con prologo argomentativo. Alcuni prologhi sono perduti.

[29]     M. von Albrecht: «Plauto non elimina gratuitamente lo schema in cinque atti del modello, ma lo sostituisce con una struttura poetica-musicale risultante dalla sostanza dell’azione». (M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, Vol. I, Einaudi, 1995, p. 178)

[30]     La commedia seria pone attenzione alle debolezze e alle qualità umane e affronta il problema dell’uguaglianza tra gli uomini, nonostante le loro differenze sociali; sembra che presenti affinità con il pensiero stoico.

[31]     Si rivolge al pubblico come autorità sulla commedia stessa: «(L’autore) vuole che la commedia si chiami l’Asinaria, se voi lo permettete»(Ásin.,12).

[32]     L’avarizia di Euclione ha dei tratti individuali ed è naturalmente giustificata dalle sue vicende di vita.

[33]     Cenni a vittoria cartaginese a Zama (Cist. 199-203); prigionia di Nevio (Miles 211-212); senatoconsulto De bacchanalibus (Cas. 978-981); abrogazione della legge Oppia nel 195.

[34]     Curculio 467-85.

[35]     Elio Stilone: «Se le Muse avessero voluto parlare latino, avrebbero parlato la lingua di Plauto». Quintiliano, Inst. orat. X, 1, 99. La lingua plautina è criticata da Orazio, Ars poet. 270-74.

[36]     M. von Albrecht, op. cit., p. 188: «Immagini sono il mezzo che fa della commedia lo specchio di una riflessione poetica».